La visita del Segretario di Stato americano Anthony Blinken ad Atene, dopo essere stato a Monaco ed Ankara, spiega la postura della Casa Bianca sul Mediterraneo orientale: ovvero l’invito alla distensione tra contendenti alla luce della tragedia rappresentata dal terremoto, la consapevolezza tarata sulle notevoli potenzialità greche alla luce del gas e della difesa e l’auspicio che i no turchi all’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato possano diventare meno rigidi. 

Una ricognizione fondamentale, quindi, in una macro area non solo molto sensibile perché via di transito di gasdotti presenti (Tap, IGB) e futuri (EastMed), ma soprattutto perché snodo di dinamiche e alleanze future. 

La guerra in Ucraina, passata dallo status di aggressione incontrollata nel primo anno a conflitto che coinvolge de facto l’intero occidente (caccia inclusi) in questo secondo anno, è l’altra cornice in cui Grecia e Turchia si muovono. 

L’Egeo, dunque, non è più una regione secondaria o marginale, ma è diventata geopoliticamente affascinante perché vi sono dei poli logistici e militari utilissimi, sia alla NATO che agli Usa. Il porto di Alexandroupolis è infrastruttura tanto marittima legata al gas che militare, oltre che trovarsi vicino alle pipeline del Tap. Assicura inoltre la presenza e il transito di uomini e mezzi dell’alleanza fino a settentrione e, quindi, in ottica di vicinanza all’Ucraina. 

La base som di Souda Bay a Creta è il nuovo occhio americano a cavallo di due quadranti strategici, come quello euromediterraneo e quello mediorientale, assicurando controllo, coordinamento e intervento su una linea immaginaria orizzontale che va da Gibilterra al Libano.

Da quel privilegiato punto di osservazione si può assicurare quella sicurezza energetica di cui si discute alla luce delle indagini sottomarine di players mondiali, tra cui l’italiana ENI e l’americana Exxon. 

A questo elemento va sommato il dato elettorale: Grecia e Turchia, rispettivamente in aprile e giugno saranno intressate da elezioni politiche significative perché in entrambi i paesi avranno dei riflessi operativi. La Grecia, dopo la parentesi legata all’estrema vicinanza del governo Tsipras alla Cina, ha riequilibrato il suo asse internazionale con il governo conservatore guidato da Kyriakos Mitsotakis, che deve fare i conti con una nuova legge elettorale che gli impone un’alleanza, a meno che non vinca di molto le elezioni. 

La Turchia, per la prima volta in 20 anni, arriva alle urne con un Presidente in calo di consensi e con le opposizioni azzoppate da decisioni giudiziarie che ne hanno meso fuori gioco i leaders, tra cui spicca il popolarissimo sindaco di Istanbul (senza contare l’inflazione record, il biennio di crisi della lira e le inevitabili ripercussioni sociali che ci saranno dopo il sisma).

Ciò per dire che Washington tiene sotto osservazione l’intera area e conta anche su uno spirito di maturità da parte dei soggetti coinvolti. 

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